Francesca Longhini, passione, ricerca, bellezza
Francesca Longhini è un artista emergente, che vanta grandi collaborazioni e importanti successi di pubblico e critica, l’abbiamo intervistata per voi!
Ciao Francesca, da dove nasce la tua passione per la pittura? Quali le tue influenze artistiche?
La mia passione più che per la pittura, è per “le cose belle”. Subisco costantemente il fascino dei materiali, della loro grazia o la loro forza, carichi come sono, di simbolismo e storia.
Che sia un oggetto di design, la copertina di un libro, una fotografia o un’opera d’arte tradizionalmente detta, ciò che mi rapisce è l’armonie di forme, pesi e contrappesi che mi fanno dire “ecco qui c’è qualcosa”. Qualcosa di puramente estetico o etico, poco conta.
Questa propensione a raccogliere immagini mentali di ciò che mi ha colpita e a crearne dei ricordi ed un archivio a cui attingere, non so con esattezza da dove nasca. Sono invece certa che essere portati fin da piccoli a gite culturali favorisca il fermento della curiosità e dello stupore, cose che tutti i bambini hanno ma che spesso perdono per strada, crescendo.
Il tuo percorso artistico ti ha portato spesso all’estero, qual è stata l’esperienza più suggestiva che hai vissuto?
Sicuramente la mia personale a Los Angeles del 2017 “Baroque Anxiety”.
In quell’occasione ho avuto modo di visitare la città in cui tutto è in scala decuplicata. Strade, negozi, musei, automobili, persone. Tutto è enorme, vasto, fagocitante. Persino il cielo è un’oceano senza orizzonte. La galleria dove ho esposto, la Ibid Gallery, anch’essa era di dimensioni pazzesche, quasi un hangar.
E lì, le mie piccole tele, venivano circonda dal vuoto bianco delle pareti e dei lucernari.
L’allestimento più poetico e suggestivo della mia carriera.
Cosa racconta la tua arte?
L’altro giorno sono incappata in una parola che non sentivo da tempo, dal liceo credo, come tutti. Questa parola è “zibaldone”, famosa nelle lezioni di letteratura italiana quando si affronta Leopardi.
Così sono andata a rivedermi il suo significato letterale che, per la Treccani, è:
żibaldóne s. m. [prob. voce onomatopeica, per alteraz. da zabaione]. – 1. ant. a. Vivanda composta di molti e svariati ingredienti. b. estens. Mescolanza di cose diverse; mucchio confuso di persone: uno zibaldone Di cancellieri e di bidelli in toga Gli fa ghirlanda intorno al seggiolone (Giusti). 2. a. ant. Scartafaccio in cui si annotano, senza ordine e man mano che capitano, notizie, appunti, riflessioni, estratti di letture, schemi, abbozzi.
Credo che la mia poetica artistica sia questo, uno zibaldone di cose e pensieri, che non pretendono di spiegare o dare risposte, ma che appuntano, in ordine sparso, situazioni e umori, in cui ognuno e chiunque può incappare nel corso della vita.
Qual è l’opera a cui sei maggiormente affezionata? E quella che racconta più di te?
L’opera a cui sono maggiormente affezionata è molto piccola, minuscola, innocua e rassegnata. “Everything is almost perfect despite everything” (Tutto è quasi perfetto, nonostante tutto) del 2017, foglia oro, grafite e acrilico su tela-16x20cm.
L’opera che racconta più di me è sicuramente quella che verrà.
Qual è il tuo rapporto con la Franciacorta? E’ per te fonte di ispirazione?
La Franciacorta ha un gran pregio: è bella.
Bella da sentire la voglia di prendere uscire, camminare, pensare.
È ironicamente contemplativa e godereccia allo stesso tempo. Mi ritrovo in questa contraddizione, l’ho immediatamente sentita mia.
Parlaci del tuo prossimo progetto.
Il prossimo maggio esporrò a Madrid, con una personale. Dopo due anni di stop è uno stimolo creativo non da poco.
Sto inoltre progettando dei lavori in marmo, ma è tutto in divenire. Per ora sono appunti su vari fogli sparsi, cartacei e digitali. Uno zibaldone 2.0.